
Oggi, grandi e piccini, vi voglio raccontare una favola.
C’era una volta una città, si chiamava Bologna. Il sindaco di questa città, un certo Virgimio, Virginio, Virgiulio…beh, non ha importanza, comunque lui, un bel giorno del 2011, incontrò il potente mago Amorosi. Il chiaroveggente svelò al primo cittadino i nomi dei suoi futuri 13 collaboratori comunali, 13 nuovi apostoli altamente specializzati che si sarebbero dovuti occupare, collaborando con altre figure di palazzo, del benessere di Bologna e dei bolognesi.
“Puffarbacco!” Esclamò il profetico Amorosi una volta estratto dal cilindro anche l’ultimo nome dei fantastici 13 “Ma questi sono i nomi degli attuali dipendenti dell’Amministrazione, il mio cappello forse è vicino al tagliando! ”
“Ssssshhh, cazzo gridi, imbezèl! Dai, dai, che ti sei sbagliato, vai ben a rimestare nel torbido di quelli di San Lazzaro, che sicuro qualcosa han fatto!”
E il loro incontro terminò così.
Qualche giorno dopo, e dopo aver fatto revisionare i suppellettili magici, il mago Amorosi denunciò pubblicamente il misfatto “Vengono richiesti profili per singole posizioni così dettagliati da coincidere perfettamente con i dirigenti del Comune che già ricoprono quei ruoli! “.
“Ma dai, polemico, sarà una coincidenza!” Rispose il sindaco intento a tirare righe di pennarello (nero indelebile e duraturo negli anni) su un innocente “Segni particolari richiesti: una voglia a forma di Lissodelfino Australe sul polpaccio destro” impresso sul bando di concorso comunale relativo ad una delle posizioni vac(c)anti. Peccato che quel giorno il buon Virgiulio (battezziamo che sia questo il nome e magari mi evito una denuncia) avesse un tantino esagerato con il Sangiovese e, ahinoi, la postilla rimase chiara e leggibile. Sempre in preda ai fumi dell’alcol, il sindaco impugnò la spada reale e proclamò Lombardelli, scribacchino di palazzo e giullare part-time, Capo di gabinetto.
“Ma cosa caspita fai, bròt bagài?! L’è un èsen, c’hai bisogno della corona d’alloro per quel posto!” Gridò allo scandalo l’indovino, ma nessuno lo prese in considerazione. Amorosi, che per nulla al mondo avrebbe fatto passare un’ingiustizia nel suo regno, non si arrese e, raccolta la documentazione necessaria, fece in modo e maniera che la vicenda trapelasse dalle mura bolognesi. Passarono anni prima che il gran visir di tutti i maghi potesse emettere una sentenza, i sentieri impervi e tortuosi di Legislaziopolis non resero l’impresa facile ma alla fine, grazie all’intervento supremo della Fata Lucia Borgonzoni, l’illecito amministrativo venne a galla prorompente. Parte dei denari spesi dal regno per la busta paga del povero dirigente Lombardelli furono così presi dalle tasche del sindaco, e di due dei suoi galoppini, e restituiti alle casse di Bologna.
Cosa successe dopo? La spavalda Iannucci, una dei due factotum del Virgiulio menzionati poc’anzi, dopo essersela gufata malamente con la sua affermazione del tipo “Se paghiamo… paghiamo 100 euro. Volevo metterli sul tavolo stamattina poi tra cavallo da strigliare e briglie da sistemare mi sono dimenticata!”, depose la scimitarra e, con la coda fra le gambe, lasciò il palazzo reale bolognese. In segno della sua profonda gratitudine, il buon sindaco ebbe un’idea formidabile e regalò ad Anna Rita (la spavalda) un’opera d’arte appartenente alla collezione del Comune. Il genio, probabilmente sempre per coincidenza, non aveva considerato che quel quadro portava la firma del nonno di Fata Lucia. Il giullare di corte venne automaticamente licenziato: ne bastava uno. I bolognesi, perplessi, si interrogarono tra loro “Ma come?! La premia pure? E poi con una parte del patrimonio comunale giunta a palazzo grazie alle mani di nonno Borgonzoni? Ma quella lì, poi, non è mica quella dei 100 euro? Ma…per caso hanno bevuto?”.
Consultando la versione aggiornata del Codice di Hammurabi, i consiglieri di corte avvisarono il nostro beneamato primo cittadino del rischio di incorrere nel reato di peculato d’uso per l’utilizzo temporaneo del bene. A nulla servì l’arringa solitaria di Virgiulio, il quale, tra un bianco frizzante e l’altro, tentò invano di giustificarsi “Va beh ragazzi, però se me l’appoggiate sulla scrivania poi io penso che sia roba mia eh!”.
